

Al contrario di altri/e colleghi/e io non ho capacità critiche e confesso pure che non ho mai desiderato farmele; quindi non ci giro tanto intorno: un paio di settimane fa ho ricevuto l’ultima raccolta di Monica Messa e ne sono stato soddisfatto.
La cosa non mi ha stupito più di tanto, perché Monica – all’interno di quel percorso di confronto reciproco, essenziale per chi voglia far questo mestiere seriamente e non egoticamente – m’aveva già fatto leggere i testi in divenire: così che mi era parsa evidente la sua crescita, rispetto a quanto scritto in precedenza e che quanto ricevuto non mi ha stupito.
È una crescita avvenuta appoggiandosi a una vena surrealista mai eccessiva e mai fine a se stessa. E sarà questa, cioè quella del Surrealismo, la sua cifra stilistica? Così parrebbe, si vedrà. Intanto mi auguro che questo suo lavoro riceva una buona attenzione; per stimolare la quale inserisco un trio di poesie:
“Sono spezzata.
Spezzata in un punto
a metà della schiena
ho un nido abbandonato
con uova schiuse
e piume insanguinate.
Sono spezzata.
Spezzata in un punto.”
“Una lapide stretta
sul ciglio della strada,
la foto di un ragazzo pelle e ossa,
tulipani di seta blu.
Dicono che
nei primi trenta secondi
dopo la morte
il cervello sogni.
Margherite e urina l’ultimo odore
e nel sogno il ricordo
di un amore piccolo piccolo.”
“Nel mio paese ogni strada
ha un volto e una voce di ottone,
restano vibranti e puri
sulle pietre, la parietaria, i muri,
di questo piccolo cosmo prigione.
È veramente questo
il tempo sognato dai serpenti?
Il parcheggio nero, il monastero,
le case sul ciglio del binario,
l’albicocco cafona oltraggiato
dalle fiamme e dal fango.
Non esiste per me zona franca.
Qui gli alberi
hanno cominciato a resinare.”