Luisa Casati Stampa: la donna che volle farsi mito

Nata a Milano, in un giorno di fine gennaio del 1881, Luisa Amman – che poi divenne Casati Stampa – aveva negli occhi il lampo freddo della seta e nelle vene il sangue delle eroine che si scrivono da sole. Una ragazza educata nel silenzio delle stanze borghesi, ma già proiettata verso un mondo che non era ancora stato inventato.
Luisa era figlia del cotone e dell’oro – il padre industriale la lasciò erede di una fortuna spaventosa. Ma la bambina ricca non volle essere dama: volle essere visione. Sposò il marchese Casati Stampa, sì, ma fu solo un passaggio. La vera unione, quella definitiva, fu con l’eccesso, con l’arte, con l’abisso del sé.
«Voglio essere un’opera d’arte vivente», disse una volta – e lo fu davvero.
Camminava con serpenti vivi attorcigliati alle braccia come bracciali. In piena Belle Époque, tra i balli di Venezia e i salotti parigini, portava l’oltremondo addosso come un profumo. A volte spariva per settimane e riemergeva avvolta in tulle nero, accompagnata da ghepardi al guinzaglio o da nani in livrea. Si racconta che in una cena mondana a Roma, si presentò in silenzio, vestita da statua funebre, e rimase immobile per ore, costringendo gli altri a guardarsi dentro.
Luisa era musa per chiunque sapesse vedere. D’Annunzio la amò con timore. Man Ray, Boldini, Romaine Brooks: tutti vollero fermare un frammento della sua essenza, ma lei sfuggiva sempre – come un presagio o un incubo troppo bello.
A Capri, la sua villa era piena di pavoni e specchi, e lei girava nuda sotto il chiaro di luna, con solo un mantello di piume a coprirle le spalle. Si dice che i suoi occhi, contornati da cerone e kohl, brillassero al buio come quelli dei gatti selvatici. I capelli – rosso rame, vivi come fiamma – completavano la figura irreale, più apparizione che presenza.
La sua rovina fu magnifica quanto la sua ascesa: dilapidò tutto per vivere secondo visione. Morì sola a Londra nel 1957, accompagnata solo da un levriero impagliato e da una fotografia di sé più giovane.
Eppure, Luisa non morì mai davvero.

Vive ancora ogni volta che qualcuno decide di non appartenere, ma di diventare. Vive nei sogni in bianco e nero di chi cerca una bellezza che faccia male. Vive nelle stanze vuote dove le cose, se guardate bene, cominciano a parlare.

«Era come se il tempo le scivolasse addosso, incapace di sporcarla. Era già leggenda, anche da viva.»

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.