Lete

Il mio amico immaginario si chiamava Lete.

Una ragazzina strana come me, non poteva certo farselo mancare. Venne a trovarmi quando avevo circa 5 anni. Era alto, magro, un po’ etereo. Certo, non è che si sforzasse granchè. Non conosco esattamente i compiti degli amici immaginari, ma lui non parlava, non giocava, si limitava ad esserci. Era sempre con me, in auto mi sedeva accanto sul sedile posteriore, mi guardava fare le boccacce alle auto che ci affiancavano, sedeva a tavola con me, si stendeva sulla coperta di lana rossa mentre giocavo sul pavimento e la sera mi accompagnava nella mia stanza e restava lì in piedi, fra i miei giocattoli. Non interveniva neanche quando di notte veniva a trovarmi la Signora senza corpo, solo testa e capelli ricci, che a ripensarci mi viene un tuffo al cuore. Come amico immaginario, era abbastanza inutile, diciamoci la verità. Rimase con me un annetto circa e poi svanì, come era venuto.

Chissà se poi avrai trovato una bambina più gentile, caro Lete, una che almeno ti offrisse un po’ del suo gelato o che ti invitasse a giocare con lei.

Io non ero pronta a questa amicizia, avevo altro a cui pensare in quel periodo. Nuova casa, nuovi amici (non che prima ne avessi), l’infamia delle dita nel naso da scrollarmi di dosso e le fondamenta di una nuova vita da gettare. Grazie per esserci stato, mio silenzioso amico, forse senza di te sarei stata un po’ più normale 

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