L’americana di Guccini: Eloise Vitelli, tra Bologna, canzoni e senato

Alla fine degli anni Sessanta, Francesco Guccini non era ancora l’icona della canzone d’autore che conosciamo oggi. Era un giovane professore d’italiano al Dickinson College di Bologna, una sede distaccata per studenti americani in Europa. Tra i suoi studenti c’era Eloise Vitelli, una ragazza americana colta, curiosa, appassionata di politica e profondamente affascinata dalla cultura europea.

Francesco, già allora cantautore in ascesa, ne rimase colpito. Eloise non era come le altre: portava con sé l’eco di un’America idealizzata — quella dei fumetti, di Life Magazine, della gomma da masticare e dei soldati alleati che, vent’anni prima, avevano attraversato l’Appennino. Era un’America vista da lontano, filtrata dal cinema e dai sogni.

Tra i due nacque una relazione intensa, breve ma significativa. E quando, nel dicembre del 1969, Eloise tornò a casa nel Maine, Guccini decise di seguirla. Un gesto d’amore, ma anche un’occasione per confrontarsi con quel mondo tanto immaginato.

A Brunswick, ospite della famiglia di lei, Francesco si scontrò però con una realtà molto diversa dalle sue aspettative. L’America che trovò era perbenista, rigida, conservatrice. I genitori di Eloise non lo accolsero a braccia aperte, e lui si sentì fuori posto, spaesato. Quella breve parentesi americana, iniziata con slancio, si rivelò un fallimento.

Nel gennaio del 1970, Guccini tornò in Italia. Tornò da Roberta, la ragazza che aveva lasciato — quella a cui più tardi dedicherà versi struggenti in Eskimo. A lei scrisse lettere cariche di rimorso, cercando perdono. Forse lo ottenne.

Ma quel viaggio segnò qualcosa di più profondo. Fu uno spartiacque. Da quel momento, Francesco cominciò a farsi crescere la barba: non solo un vezzo estetico, ma un simbolo di trasformazione. Un modo per lasciare indietro l’illusione americana e segnare l’inizio di una nuova fase della vita. La barba, lunga e folta, insieme ai capelli più lunghi, sarebbe diventata un tratto distintivo della sua immagine pubblica. Come se quell’esperienza, bruciata e abbandonata, avesse lasciato una cicatrice che si trasformava in stile.

Eloise, però, non scomparve. Non dal suo immaginario, almeno. La sua presenza riaffiora in molte canzoni. In Canzone delle situazioni differenti (1974), Guccini canta: “Scoprivo gli USA e rari giornaletti, ridesti nel vedermi grande e grosso coi fumetti”. La ritroviamo anche in Canzone delle osterie di fuori porta. Ma soprattutto, si fa figura centrale — anche se mai esplicitata — in 100, Pennsylvania Avenue (1978), una ballata dolceamara che ritrae una donna affacciata a una finestra, che guarda un ponte arrugginito e piange un amore perduto. È lei, Eloise, trasfigurata dal tempo e dalla nostalgia.

Curiosamente, Guccini non le dedicò mai una canzone con il suo vero nome. Forse per pudore, forse per una forma di riserbo sentimentale. Ma in una scelta quasi simbolica, decise di intitolare L’orizzonte di K.D. alla sorella di Eloise, Karen — ribattezzata “Karin Donne”, in omaggio al poeta inglese John Donne. “K.D.”, pronunciato all’americana: Kei Di. Un codice segreto, un nome che contiene e nasconde.

Oggi Eloise Vitelli è una stimata politica statunitense. Dal 2013 al 2024 è stata senatrice del Maine per il Partito Democratico. Tra il 2021 e il 2024 ha ricoperto il ruolo di leader della maggioranza al Senato statale. Si è dedicata con passione al sostegno dell’imprenditoria femminile, all’educazione, ai diritti delle donne.

Di quella ragazza che studiava a Bologna negli anni Sessanta, oggi restano le canzoni. Resta una storia d’amore mai del tutto chiusa, incisa nei solchi del vinile. E quell’immagine, diventata icona, di un Guccini con la barba lunga, nato una seconda volta dopo aver conosciuto – e poi lasciato – l’America.

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