di Vieri Peroncini e Antonello Bifulco
Ho l’abitudine, mentre leggo, di fare un orecchio (molti mi odieranno per questo) alle pagine dove trovo qualcosa che mi colpisce e che voglio ricordare. Se avessi dovuto farlo a questo testo, sarebbe tutto spiegazzato! Un libro/labirinto ad alto contenuto di stupore. Dolce, amaro, con una punta di cinismo, un mix incontrollabile. Sì, incontrollabile, perché queste poesie non le puoi mettere in una scatola e incasellarle bene bene, sfuggono da qualsiasi categorizzazione.
Poesie asociali, si definiscono, ce ne sont pas des poèmes, mai banali, pregne di inquietudine umana non rinnegata, ma solida e tangibile.
Poesie contemporanee in dialogo ininterrotto fra i due autori Vieri Cattivik Peroncini e Antonello Bifulco, distratti amici lanciatori di stelle (e pensa se erano coltelli!). Ci svelano che il presente non esiste, che siamo prigionieri del passato ed è proprio il linguaggio, la parola a svelarcelo.
Poesie pregne di disincanto, come piacciono a me, di quelle che ti dicono che no, non andrà tutto bene, che si può ancora star bene solo quando si perde la memoria di questa vita, che occorre portare con sé un coltello per creare il proprio destino e che non sarebbe poi tanto male sciogliersi giù per lo scarico. Credo che all’inizio di questo secolo/millennio non abbiamo più bisogno del poeta che ci riempia di belle parole e buoni propositi, che ci offra un sogno su un vassoio d’argento, abbiamo bisogno di poeti che ci aiutino a pensare, che ci pungolino, ci irritino, ci sballottino da un senso all’altro da farci venire il mal di mare, ci aprano (nonostante l’odore), ci seducano e poi abbandonino, finalmente soli col senso della vita ancora incartato. A noi che, non nascondiamocelo:
abbiamo deciso di vivere ai margini,
siamo come una musica che sbaglia i tempi,
siamo i muri che si affacciano ai ponti
chiudendone il passo.